Regali solidali per il 2014

gifts-41100_640Come vivere le feste natalizie in maniera meno consumistica, quando esse sembrano connesse intimamente con i riti di consumo e spreco tipici del Natale occidentale?

Scegliere un regalo solidale vuol dire dichiarare semplicemente e concretamente la propria responsabilità sociale. Attraverso questo tipo di dono, avrai l’opportunità di sottolineare il tuo impegno etico a favore della ricerca contro i tumori al seno e comunicare la tua attenzione verso il sociale.

Muovendosi da una prospettiva etica, è dunque possibile ripensare il regalo natalizio fin nei minimi particolari: ad esempio, invece dei classici bigliettini di auguri, per augurare buone feste in azienda o in famiglia, perché non mandare delle regali e dei messaggi augurali solidali?

Avrai con noi 5 opzioni da scegliere (messaggi in forma di lettera, con calendario, con i cioccolatini, con Book light, con la app per il telefonino), tutte idee originali e tutte personalizzabili, con la data, i nomi e le informazioni riferite al progetto per cui avete donato tali biglietti o oggetti, a ricordo del tuo atto di solidarietà.

La scelta solidale, in forma di dono materiale o immateriale che sia, rappresenta il tuo coinvolgimento di solidarietà nella causa che sostieni. L’offerta comprende i messaggi augurali solidali, piccolo omaggi o gadget come quelli che trovi nel sito.

I regali solidali possono davvero diventare un atto di solidarietà immediato e tangibile, una testimonianza del proprio impegno, collaborando attivamente con chi come AIRC lavora fin dal 1965 con i suoi progetti nei quali si è sempre impegnata a sostenere la ricerca oncologica nel nostro Paese. Leggi tutto “Regali solidali per il 2014”

Afghanistan: in pericolo la gestione delle case rifugio per le donne

Potrebbe essere messa presto a repentaglio la sicurezza delle donne afghane che si rivolgono alle case rifugio. Come rende noto il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, un decreto legge promosso dal Consigli dei Ministri dell’Afghanistan nel gennaio 2011 passerà la gestione delle case rifugio per le donne maltrattate dalla gestione delle Ong a quella del Ministero degli Affari Femminili. Le conseguenze saranno molto gravi, sopratutto per le nuove regole imposte sulla gestione dei centri, che prevedono l’accompagnamento delle donne al centro da parte di un parente uomo, visite mediche regolari per accertare l’attività sessuale della donna, la possibilità dello staff del centro di rifiutare alla famiglia della donna il suo ritorno a casa.
I centri sarebbero inoltre tenuti a denunciare le donne scapapte da matrimoni forzati o che hanno subito violenza sessuale accertata. In queste condizioni, costrette al ritorno in famiglia, le donne vivrebbero condizioni di estrema marginalità o peggio rischierebbero la vita per le ritorsioni della comunità.
La legge, che a detta dei suoi promulgatori, sarebbe finalizzata a una migliore gestione delle risorse dei centri, in pratica mira alla loro chiusura e a un maggiore controllo sulle donne: le case rifugio, infatti, sono spesso state tacciate di essere case di prostituzione. La legge, quindi, pare essere stata pensata per compiacere fondamentalisti e Taliban.
Fonte: www.zeroviolenzadonne.it

Appoggiare campagne di boicottaggio come pratiche non violente

La rete internazionale delle Donne in Nero si oppone alle guerre e ad ogni tipo di violenza: da più di venti anni impegnate per una pace giusta in Medio Oriente, che metta fine alla politica coloniale israeliana e alle continue violenze, sofferenze e punizioni collettive subite dalla popolazione palestinese, causate dall’occupazione illegale dei territori palestinesi, dalla politica di apartheid e dall’assedio della Striscia di Gaza.

Le Donne in Nero israeliane si sono formate immediatamente all’inizio della prima Intifadah opponendosi all’occupazione voluta dal loro governo.

Dopo il massacro di Gaza del 2008/09, in cui l’esercito israeliano si è macchiato di gravissimi crimini di guerra (1.400 morti fra cui 400 bambine/i) la situazione si è fatta molto più grave.

Per questo le Donne in Nero della rete italiana hanno deciso di aderire alla campagna mondiale BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) lanciata nel 2005 dalla società civile palestinese, il Boycott National Committee (BNC), formato da oltre 170 organizzazioni, comitati, partiti e sindacati palestinesi, campagna sostenuta da associazioni, movimenti e anche istituzioni governative in Europa e nel mondo.

Riportiamo i motivi che l’organizzazione adduce per supportare l’iniziativa: “Sosteniamo inoltre la campagna dell’Autorità Palestinese per il boicottaggio dei prodotti nei Territori occupati, “La tua coscienza, la tua scelta”, attuata attraverso la legge che proibisce la distribuzione e il consumo dei prodotti delle colonie illegali israeliane e la mobilitazione di migliaia di giovani donne e uomini con cui il BNC collabora. Sosteniamo infine la campagna “Boycott from Within”, lanciata a sostegno del BDS da un vasto arco di associazioni nonviolente israeliane, fra tutte vogliamo citare la Coalition of Women for Peace e la WILPF israeliana.

– Il boicottaggio è una pratica nonviolenta di non-collaborazione all’ingiustizia

– Il boicottaggio economico si pratica sulle merci prodotte nelle colonie israeliane illegali perché costruite nei Territori Occupati e sulle merci prodotte da ditte o da multinazionali che sostengono l’occupazione. Cittadine/i, consumatrici/ori rifiutano di acquistare determinate merci prodotte senza rispettare i diritti umani, i diritti del lavoro e le norme ambientali ed esigono l’applicazione integrale degli accordi commerciali fra UE e Israele e il rispetto della legalità internazionale..

– Il boicottaggio culturale denuncia gli accordi stipulati da Università, Enti locali e altre Istituzioni italiane per collaborazioni tecnologiche, scientifiche e culturali con Istituzioni israeliane compromesse con l’occupazione. Il Governo israeliano infatti utilizza il mondo universitario, i film, le opere letterarie, il turismo ecc. per promuovere l’immagine di un paese normale, in pace, felice, democratico che cancelli quella di una potenza occupante che opprime e viola sistematicamente i diritti del popolo palestinese. Naturalmente il boicottaggio culturale non intende essere applicato a chi sostiene la lotta nonviolenta contro l’occupazione militare e l’applicazione del diritto internazionale.

Come cittadine italiane chiediamo l’abrogazione degli accordi militari con lo Stato d’Israele. La collaborazione attuale dello Stato italiano con un regime oppressivo come quello israeliano è una luce verde all’attuazione di altri crimini e alla violazione di altri diritti del popolo palestinese.

Il boicottaggio non è contro gli israeliani e meno che meno contro gli ebrei, ma contro il governo israeliano, contro l’occupazione militare dei Territori palestinesi e gli insediamenti di coloni sempre in aumento, contro l’economia di guerra. Ad esso associamo iniziative per il diritto allo studio delle/dei giovani palestinesi e ci impegniamo a mantenere contatti con donne israeliane e palestinesi che sostengono la campagna BDS e a promuovere loro interventi in Italia.

Crediamo che il BDS sia uno strumento necessario per fermare la politica di espansione coloniale israeliana e per rendere Israele responsabile delle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani; crediamo sia anche uno strumento di comunicazione per far conoscere la situazione della Cisgiordania e di Gaza e per rompere il muro di diffidenza verso il popolo palestinese.”

Scende il numero totale degli affamati nel mondo secondo l’Onu

Secondo recenti rapporti dell’Onu, il numero totale degli affamati nel mondo è sceso per la prima volta in 15 anni. Purtroppo quasi un miliardo di persone continua a soffrire la fame e non ha accesso a risorse alimentari adeguate. Inoltre oltre 2 miliardi di persone sul pianeta soffrono della cosiddetta “fame nascosta”, o carenza di micronutrienti – evidente nei bambini che non raggiungono uno sviluppo normale.

Il mancato accesso alle risorse idriche, il crescente impatto dei cambiamenti climatici, la crisi dei mercati locali e nazionali, le infrastrutture inadeguate, le politiche nazionali fragili, unitamente alla mancanza di responsabilità politica e di interventi da parte della comunità internazionale, acuiscono la crisi alimentare.

Oxfam in un rapporto pubblicato in occasione del vertice di New York sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, sottolinea come di vitale importanza siano le politiche e i programmi che aumentano gli investimenti dei paesi poveri in settori chiave come l’agricoltura. Importante è l’impegno da parte dei paesi ricchi che di quelli poveri, per aumentare di 75 miliardi di dollari l’anno gli investimenti da destinare allo sviluppo rurale, alla sicurezza alimentare, alla protezione sociale, all’assistenza alimentare e ai programmi di nutrizione.

Nell’Africa subsahariana e in altre regioni, le principali responsabili della produzione del cibo e dell’approvvigionamento dell’acqua e del combustibile per cucinare sono le donne, ma anche i soggetti più deboli.

L’Italia ha un ruolo fondamentale nella riduzione dell’insicurezza alimentare, in qualità di paese membro del G8 e del G20 e dei suoi forti legami con i paesi del Sud del mondo. Eppure manca ancora una risposta coerente e coordinata a livello globale.

Alcuni paesi hanno raggiunto risultati significativi nella riduzione della fame combinando politiche efficaci e investimenti e i paesi poveri devono adottare politiche e programmi che facciano aumentare i loro investimenti pubblici in settori chiave, inclusa l’agricoltura.

I donatori da parte loro devono farsi avanti per fornire un sostegno ai paesi poveri, che permetta il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio entro il 2015.

Petali di rosa contro le mutilazioni genitali femminili

Il 25 novembre ricorre la Giornata di sensibilizzazione sulla violenza di genere indetta dalle Nazioni Unite: essa apre i “16 giorni di mobilitazione sulla violenza contro le donne”fino al 10 dicembre, cioè la Giornata internazionale sui diritti umani.

Quest’anno, la END FGM promuove una campagna di raccolta firme per a un appello rivolto alle istituzioni europee: chiedere un più deciso impegno per la prevenzione delle famigerate MGF (Mutilazioni dei genitali femminili). Il tutto da effettuarsi con interventi coerenti e coordinati nel territorio dell’Unione Europea e in Africa. In Italia la campagna è condotta dall’AIDOS (Associazione italiana donne per lo sviluppo), in collaborazione con Amnesty International, sezione italiana e ad essa aderiscono: UDI – Unione Donne in Italia e AIDOS Sardegna.

Il petalo di rosa, metafora della clitoride mutilata, diventa il simbolo della speranza per un futuro per tutte le bambine, ragazze o donne che invece subiscono queste mutilazioni.

I petali di rosa firmati e le firme raccolte verranno poi consegnati ufficialmente ai rappresentanti delle istituzioni europee nel corso di un evento organizzato da END FGM presso il Parlamento europeo. La campagna verrà lanciata a livello internazionale durante la “Conferenza sulla violenza di genere” organizzata dalla Commissione Europea a Bruxelles (25 e 26 novembre 2010).

Per saperne di più consultate il sito: www.endfgm.eu

Indonesia: test di verginità per l’iscrizione a scuola

La proposta presentata dal deputato locale Bambang Bayu Suseno al Parlamento di Jambi (provincia nella costa est dell’isola di Sumatra, Indonesi), suscita inquietanti interrogativi: si vorrebbe sottoporre le studentesse per ammetterle a scuola ad un test di verginità.

Secondo Suseno, il test di verginità protegge “automaticamente” le ragazze nella loro dignità.

Linda A. Gumelar, capo del ministero per le donne, ha definito la proposta “contraria ai diritti umani”, in quanto  il diritto all’educazione è per tutti.

anche la popolazione non vede assolutamente come rilevante il test: lo confermano interviste nella provincia effettuate Tribun News.

Contro la proposta anche Henry Mahur, presidente della sezione locale del Partai Keadilan Sejahtera, il maggiore partito islamico del Paese.

Ma perché una proposta  del genere può arrivare fino al parlamento?

La vicenda è lo specchio di una situazione in cui avviene un vero e proprio clash culturale in atto tra chi, nella società indonesiana, va ad adottare comportamenti più simili a quelli occidentali, mentre la classe dirigente si arrocca nel difendere una proposta molto restrittiva dei valori musulmani e propugna un controllo della moralità delle donne.

In questo scontro sono sempre le donne che vanno a rimetterci e vengono colpite nei diritti fondamentali.

normative antidiscriminazione

On line un rapporto sulla comparazione delle normative antidiscriminazione nei 27 paesi EU

On line sul sito della Commissione europea un rapporto sulla comparazione delle normative antidiscriminazione nei 27 paesi EU, disponibile in lingua inglese: “Developing anti-discrimination law in Europe”. Il rapporto comparativo raccoglie e confronta tra loro tutte le leggi antidiscriminatorie in vigore nei 27 paesi dell’UE.

In esso sono state  evidenziate le tendenze e le attività dei diversi stati membri per la trasposizione e l’implementazione delle direttive aeuropee anti discriminazione (2000/43/EC and 2000/78/EC).

L’UE possiede infatti alcune tra le norme antidiscriminazione più avanzate al mondo. La legislazione europea in materia si basa sul Trattato di Amsterdam il quale, introducendo l’art. 13 al Trattato istitutivo della Comunità Europea entrato in vigore nel 1999, ha conferito al Consiglio il potere di adottare “i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

Vediamo un pò di storia della corrente direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione (2000/78/CE) che tutela tutti i cittadini comunitari dalle discriminazioni per motivi di età, handicap, orientamento sessuale, religione o credo sul luogo di lavoro.

La direttiva sull’uguaglianza razziale (2000/43/CE) vieta la discriminazione basata sulla razza o sull’origine etnica sul luogo di lavoro e in altri ambiti della vita quali l’istruzione, la sicurezza sociale, la sanità e l’accesso a beni e servizi.

Inoltre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 2000) ha sancito espressamente il diritto di uguaglianza davanti alla legge (art. 20) e il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali (art. 21).

Ma per le donne? Ancora il cammino è lungo ma qualcosa si muove in avanti. Ritorneremo in un prossimo post sull’argomento.

Somalia: mortalità infantile alta e salute delle donne in pericolo

Uno scarso livello di istruzione e una mancanza di accesso ai servizi sanitari in molte aree rurali della Somalia, paese dilaniato dalla guerra hanno aumentato il rischio rispetto alla nascita e alla maternità.

Il parto a casa e quelle in ospedale comporta un’enorme diffrenza per le salute delle donne in Somalia: spesso le levatrici tradizionali utilizzano coltelli sporchi e così il rischio di infezioni e morte aumenta, nonostante le nascite siano comunque un successo, constata Habiba Isack Adan Hurmo, dottore in Galkayo, Mudug Region nella Somalia centrale.

Secondo l’UNICEF, 1.000 sono le donne che muoiono su 100.000 che danno alla luce un bimbo in Somalia, e il rischio di morire di parto è di una donna su 12.

Sempre secondo la testimonianza di Hurmo, sono le più giovani che rischiano, proprio per la mancanza di consapevolezza sulle possibilità di effettuare il parto in ospedale.

Hurmo aggiunge di avere esperienza di molte donne provenienti dalle aree rurali che dichiarano di aver avuto più di 8 parti in casa, in cui il proprio bambino è deceduto. I centri di maternità sono distanti e quindi la soluzione più alla portata di mano è appunto il parto effettuato in casa.

I rischi sono alti: possibilità di dissanguarsi e di emorragie, caduta della placenta, infezioni e malattie trasmesse a causa di sangue contaminato.

Sempre secondo il dottor Hurmo, è proprio l’analfabetismo che aumenta il rischio di morte per le madri di 15 anni, specie se vivono con mariti non istruiti.

Secondo l’aggiornamento del rapporto di  settembre sulla salute del WHO,  il problema più grave nel centro-sud della Somalia è la sospensione e il ritiro delle operazioni  delle NGOs e delle più importanti associazioni umanitarie, a causa dell’impossibilità effettiva di accedere a molte aree, purtroppo altamente rischiose e insicure.

Mohamed Hussein Eid, Ministro di Salute responsabile dell’area del Galmudug, ha dichiarato che il Ministero recentemente ha creato 7 nuovi  centri di maternità nelle aree di Hobyo, Elgual e Bandiradley per migliorare i servizi sanitari e arginare le zone con il più alto tasso di mortalità legata al parto.

Afganistan: diminuisce di poco la mortalità infantile e materna legata al parto

La mortalità infantile in Afghanistan purtroppo non diminuisce sensibilmente, nonostante i milioni di dollari spesi negli ultimi 9 anni.

Quasi un decennio  di donazioni da varie fonti (World Bank, USA ed UE) per supportare progetti sulla salute delle donne in maternità hanno portato ad una marginale riduzione della mortalità per madri e bambini secondo le stime di un recentissimo report delle Nazioni Unite sull’argomento.

La diminuzione è da 1.600 su 100.000 nascite nel 2001 a 1.400 in 2010. La mortalità infantile è scesa dal 165 su 1.000 in 2001 a 111 nel 2008, mentre la mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni è diminuita dal 257 al 165 per 1.000 unità, secondo il rapporto Trends in Maternal Mortality 1990-2008, presentato al Summit sui Millennium Development Goals (MDGs) tenutosi in New York dal 20 al 22 settembre.

Quali i progressi? Attraverso una rapida espansione del servizi sanitari su 80% del territorio e uno sviluppo della campagna di immunizzazione negli ultimi anni, stando a quanto dichiara il Ministro della Salute Dalil, sono tangibili miglioramenti.

Mancanza di istruzione, mancanza di strade, penuria di personale sanitario, bassa qualità nell’erogazione dei servizi sanitari e scarsità di cibo: questi i maggiori ostacoli da superare, continua Dalil.

Infatti l’Afghanistan secondo l’UNICEF si posizionava l’anno scorso come il paese peggiore su ben 202 in termini di mortalità infantile e materna: 1 donna su 8 qui affrontava un rischio continuo di morte collegato alla gravidanza e al dare alla luce nel 2009  e oggi sarebbe migliorato di poco  (1 donna afgana su 11).

La cosa che fa riflettere è che nonostante un 54% di aumento della spesa nella salute pubblica negli ultimi 6 anni (da 163.6 milioni di dollari nel 2004 ai 277.7  del 2009), risultano solo 10.92 dollari pro capite, cifra bassa rispetto ai 15-30 raccomandati dal WHO.

Il punto della situazione sugli obiettivi del millennio: una chance anche per i diritti delle donne.

Summit 2010Dal 20 al 22 settembre a New York si terrà il Summit delle Nazioni Unite che il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-Moon definisce “un’opportunità cruciale per raddoppiare gli sforzi nel realizzare gli Obiettivi del Millennio” che dovranno essere raggiunti entro il 2015. Un’occasione per fare il punto della situazione, a dieci anni dalla firma della Dichiarazione del Millennio, sullo stato di avanzamento degli impegni presi dai leader mondiali nel 2000. Il concetto fondamentale sembra essere “accelerare”. E creare un piano d’azione realistico e preciso per raggiungere il traguardo.

Gli Obiettivi toccano temi fondamentali quali la riduzione della povertà e dell’insicurezza alimentare, la progressiva diminuzione della diffusione dell’HIV/AIDS, la salute dei bambini e la sostenibilità ambientale. E la condizione delle donne occupa un posto importante, dato che la salute in gravidanza, il raggiungimento della parità di genere e l’educazione universale sono obiettivi prioritari.

Come sottolineano le associazioni impegnate nell’aiuto allo sviluppo e contro la povertà, gli Obiettivi del Millennio soffrono di una mancanza di riconoscibilità da parte del grande pubblico, la cui mobilitazione è necessaria per far pressione sui leader perché assolvano i propri impegni entro la scadenza del 2015.

I diritti umani e in particolare i diritti delle donne sono alcuni degli argomenti principali che le organizzazioni vogliono mettere al centro della lotta contro la povertà.

Secondo il Rapporto 2010 sugli Obiettivi del Millennio l’uguaglianza di genere è strettamente correlata alla povertà, dato che proprio la povertà è l’ostacolo più grande per esempio all’istruzione per le bambine, sia in età da scuola primaria che secondaria: le bambine più povere hanno 3 volte le probabilità di non ricevere un’istruzione rispetto alle coetanee in condizioni economiche migliori. Senza contare il livello qualitativo dell’impiego lavorativo per le donne, pagato meno di quello degli uomini, e reso ancor meno sicuro dalla crisi mondiale.

Aaron Sherinian, portavoce della UN Foundation afferma che “si sta cercando di permettere alle persone di capire che gli Obiettivi del Millennio sono istanze globali collegate alla fame, alla povertà, alla salute, alle donne e ai bambini, anche usando argomenti e termini in cui la gente si possa identificare”.

Intanto in tutto il mondo, dall’India all’Italia, si moltiplicano le iniziative per far sì che al Summit di settembre i grandi della terra possano sentire la voce della gente. E mantenere le promesse.

Fonte: Irin News

Per saperne di più: http://www.un.org/en/mdg/summit2010/

                          http://www.standupitalia.it/Il-Summit-di-settembre