Afghanistan: lettere minatorie per le donne che sono “ribelli”

A un anno di distanza dal varo della legge che nega pari diritti alle donne in Afghanistan, Human Rights Watch Asia lancia un rapporto, The “Ten-Dollar Talib” and Women’s Rights, il quale denuncia le trattative tra governo Karzai e gli insorti e  la realtà della condizione femminile che ne deriva nelle aree controllate dai talebani.

Il documento illustra l’infondatezza dell’idea secondo cui sarebbe possibile “comprare” i talebani, poiché non posseggono una vera e propria ideologia fondamentalista, rivelando invece un peggioramento della condizione femminile nelle zone gestite da talebani e Hezb-i-Islami (Gulbuddin) dal 2005.

L’organizzazione statunitense descrive le “lettere notturne”, biglietti minatori asciati sulla porta di casa delle vittime o all’ingresso di una moschea. Fatima K ha ricevuto questa lettera a febbraio 2010: “Noi talebani ti avvisiamo di smettere di lavorare, in caso contrario prenderemo la tua vita. Ti ammazzeremo in maniera così brutale che nessuna donna è mai stata uccisa così. Sarà una buona lezione per le donne che come te lavorano. I soldi che ricevi sono haram(proibiti) e arrivano dagli infedeli. A te la scelta”.

Asma A., insegnante in una scuola femminile di una provincia meridionale, ha ricevuto una lettera con tali parole: “Ti comunichiamo che devi lasciare il tuo lavoro come insegnante il prima possibile, altrimenti decapiteremo i tuoi bambini e daremo fuoco a tua figlia.”.

Esempi raccapriccianti di violenza intimidatoria che purtroppo si trasformano anche in violenze vere e proprie: molte sono anche gli omicidi a seguito delle lettere.

Occupazione femminile: le donne sostengono maggiormente i bilanci della famiglia

Ricerche internazionali mostrano i livelli di occupazione femminile e i salari raggiunti

Già da tempo l’universo femminile è dentro il mondo lavorativo combattendo per raggiungere posizioni di prestigio nonostante enormi difficoltà: le donne non solo devono lavorare e fare carriera, ma anche unire e includere le responsabilità che derivano dalla famiglia con quelle lavorative.

Il modello di famiglia patriarcale è davvero agli sgoccioli? Si assiste alla nascita di una nuova e stimolante prospettiva per le donne nel mondo del lavoro? Due ricerche effettuate in Germania e nel Regno Unito mostrano come la strada da percorrere sia proprio questa: le tesi femministe di emancipazione totale dal patriarcato hanno davvero dato il via a realtà concrete con cui misurarsi e su cui ancora costruire un futuro diverso.
In base agli ultimi risultati diffusi dalla prestigiosa fondazione  tedesca Hans-Böckler, le donne guadagnano di più rispetto al partner nel 21% delle famiglie tedesche, mostrando così un avanzamento di ben 6 punti percentuali rispetto al rilevamento dati nel 1991.

La tangibilità di queste cifre si riscontra anche nella dinamica società britannica, nella quale secondo una recentissimo studio statistico, ben un terzo delle lavoratrici avrebbe raggiunto uno stipendio più elevato rispetto a quello percepito dal proprio compagno o marito. Il risultato è sestuplicato, rispetto allo striminzito 4% che era risultato alla fine degli anni ’70.

Ma cosa succede se in Europa dal nord andiamo a sud? La situazione non è comparabile: Portogallo, Spagna e Italia registrano purtroppo un tasso di occupazione femminile straordinariamente basso rispetto alle realtà tedesche e inglesi.

Eppure va operata una riflessione che chiama in campo l’attuale crisi economica e quindi la “vittoria” femminile è da ridimensionare in un’ottica più realista.

Sempre secondo la ricerca della fondazione  tedesca Hans-Böckler, in Germania, nella maggioranza dei casi esaminati statisticamente, le mogli lavorano e guadagnano di più rispetto ai mariti o ai compagni  perché oggi la sempre più diffusa disoccupazione, una sopravvenuta invalidità del partner oppure i bassi salari rendono difficilmente possibile per il “maschio” rivestire il ruolo di cardine economico della famiglia alla stregua dei decenni precedenti.

Nasce ‘Red’, coordinamento guatemalteco delle organizzazioni di donne maya

È nato  ‘Red’, coordinamento delle organizzazioni di donne maya in Guatemala

In Guatemala nasce ‘Red’, rete per il coordinamento delle organizzazioni di donne maya contro tutte  le forme più gravi di discriminazione e abuso, perpetrati all’interno di una società ancora purtroppo influenzata da profonde radici sessiste.

Malgrado in questo paese esistano alcune leggi sicuramente avanzate in materia di violenza di genere e tutela dei diritti delle donne, esse non vengono tuttavia applicate. Gli ostacoli sono rappresentati da corruzione, razzismo e machismo ad opera dei tutori della legge. Anche solo denunciare un abuso oppure andare in ospedale risultano essere per tante vittime una ulteriore esperienza traumatica.

Nel 2009, il Guatemala ha anche conquistato un triste primato in America Latina per numero di donne assassinate.

Le principali attività di Red? Juana Baca Velasco, coordinatrice della rete guatemalteca, indica chiaramente come obiettivi e azioni l’alfabetizzazione e la formazione professionale delle donne, la creazione di fondi di microcredito, l’accompagnamento alle vittime della violenza, ed il coordinamento con le organizzazioni non governative e statali che tutelano i diritti delle donne.

A febbraio, insieme alla Cisv, ong italiana, la Red ha inaugurato la Defensoria de la mujer I’x,  struttura di assistenza legale e psicologica, destinata ad accogliere le donne con figli al seguito che stanno subendo violenze familiari.

Per fortuna, nonostante la diffidenza di alcune istituzioni locali, la Red sta rafforzandosi e diventa una possibilità concreta di aiuto e sostegno  per migliaia di persone nel contesto guatemalteco. E continuano i corsi di formazione: corsi e seminari sulle attività agro-pastorali, artigianato, sartoria, tessitura, cucina, pasticceria, solo per citarne alcuni.

Fonte: Agimondo.it

Afghanistan: la realtà delle donne in rete grazie alle giovani giornaliste di Herat

Il web magazine Woman to be realizzato da giovani studentesse in Afganistan grazie ad un progetto tra la Cattolica e la Herat University

Giovani giornaliste afgane attraverso reportage in rete mostrano la realtà della donna nel proprio Paese. Una bella iniziativa sostenuta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, grazie al contributo della Fondazione Fondiaria Sai, in collaborazione con l’Università di Herat.

Questo risultato proviene dal corso intensivo di reportage giornalistico che si inserisce nel progetto di collaborazione che la Cattolica  ha con la Herat University finalizzato a migliorare la condizione della donna in Afghanistan, specie rispetto alle tematiche dei media. Chiuso o a giugno, con ben 15 donne sul totale di 25 studenti, il corso è stato un successo.

Fornite di macchina digitale e software per l’elaborazione immagine, le giovani studentesse afgane hanno dato vita alla serie di reportage che sono raccolti nel web -magazineche ha l’eloquente titolo Women to be, nel quale queste giovani donne afghane danno uno spaccato sulle donne afghane, a tutto tondo.

L’intero progetto vede un anno di pubblicazioni assistite per poi affidare il magazine solo alle giornaliste afghane. Inoltre è allo studio la realizzazione di un corso di formazione dell’Università Cattolica, per alcune giornaliste selezionate, con stage presso alcuni media italiani per fine 2010.

Il web magazine www.womentobe.com, ideato e voluto da Giulia Ligresti, presidente della Fondazione Fondiaria Sai, ospita dunque i reportage realizzati ad Herat ed apre alla vista occidentale il cuore di una terra che soffre ancora e in cui le donne sono colpite a fondo.

Il mondo virtuale è anche in questo caso una porta che permette di riaffermare la dignità e la speranza di un Paese martoriato, in cui proprio le donne alzano la testa e la videocamera in maniera responsabile per rendere  le donne afgane le vere protagoniste di un fondamentale importante processo di rinascita e di crescita.

Il convegno WWW.World Wide Women ‘Globalizzazione, generi, linguaggi’: call for paper

Call for paper per il convegno WWW.World Wide Women: Globalizzazione, generi, linguaggi

Il convegno, organizzato dal Centro interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne (CIRSDe) dell’Università di Torino, ha come obiettivi principali:

1) favorire uno scambio interculturale e interdisciplinare tra studiosi e studiose che hanno adottato la “prospettiva di genere”;

2)creare legami tra gli ormai numerosi centri di ricerca chesi occupano di studi di genere;

3)rilanciare il dibattito sul femminismo e sui women’s studies all’interno degli Atenei.

Le tematiche? Riguardano la globalizzazione, l’incontro di culture, il transculturalismo, il superamento dei confini nazionali, la migrazione, i linguaggi, lo sviluppo economico. Eccole qui elencate:

  1. Dai margini al centro. Femminismo, teoria queer e critica postcoloniale
  2. Genere e cultura nelle città europee
  3. Gli effetti della crisi mondiale attuale sulle donne
  4. La ‘migrazione’ dei gender studies nello spazio francofono: approcci, indagini, femminismi
  5. Migrazioni e lavoro di cura
  6. Scritture@migranti 1: Nord America
  7. Scritture@migranti 2: Italia
  8. Violenze e agency delle donne
  9. Women scientists tracing the future: development, science, roles

Le lingue di lavoro saranno italiano, francese e inglese.

L’abstract andrà inviato entro e non oltre il 15 settembre 2010 utilizzando la scheda apposita. Per ciascuna sessione saranno accettati al massimo 8 papers ed è prevista anche una sede poster. La consegna dei working papers è prevista entro il 15 gennaio 2011.

Per ulteriori informazioni, contattate la segreteria del CIRSDe (cirsde@unito.it).

In Piemonte corsi di diritto anti-discriminatorio per difendere adeguatamente le donne

In Piemonte corsi di formazione per il diritto anti-discriminatorio

Una formazione per gli avvocati che si sono resi disponibili a tutelare le donne vittime di violenze e che contempli la differenza di genere e le discriminazioni: la Regione Piemonte, Consigliera Regionale di Parità e Ordine degli Avvocati di Torino hanno promosso quindi  all’inizio del 2010 corsi per  fornire  conoscenze sull’evoluzione delle normative e della giurisprudenza, sugli strumenti di contrasto e sulle modalità per tutelare in modo adeguato chi ha subito violenza o discriminazioni di genere.Un totale di oltre trecento iscrizioni e quindi un ottimo successo, frutto di una sensibilizzazione all’argomento.
Il diritto anti-discriminatorio fa dunque un passo avanti: la prima iniziativa risale al 2008 e fu organizzata dalla Consigliera Regionale di Parità, Alida Vitale.
Il
percorso formativo tocca  tutti i motivi di discriminazione indicati dall’UE: genere, disabilità, età, cultura e religione, tendenze sessuali con particolare e riferimento alle discriminazioni multiple, alle molestie sul luogo di lavoro e al mobbing.

Ricordiamo anche gli organismi e le iniziative in questa direzione promosse di recente, come l’Agenzia Regionale contro le discriminazioni, l’istituzione di centri locali e la convenzione con l’ufficio apposito del Dipartimento Pari Opportunità.

Fonte: www.kila.it

Omicidi volontari in Italia: aumentano le vittime di sesso femminile

I dati del rapporto Eures-Ansa indicano che una vittima su quattro è donna

L’ultimo rapporto Eures-Ansa uscito nel 2010 centrato su “L’omicidio volontario in Italia” parla chiaro: osservando il biennio 2007-2008, la vittima è una donna in un caso su 4 (il 24,1%), anche se resta una “forte prevalenza delle vittime di sesso maschile” (il 76,2% del totale), salgono le vittime di sesso femminile, di pari passo con l’aumento dei delitti in famiglia, specie al Nord, dove sono più frequenti questo tipo di omicidi.
Le regioni che si attestano sul maggiore numero dei cosiddetti “femminicidi” è la Lombardia (26, pari al 17,7% del totale), seguita dalla Toscana (15, pari al 10,2%), dalla Puglia (14, pari al 9,5%) e dall’Emilia Romagna (12 femminicidi, pari all’8,2%). Le donne uccise sono passate dal 15,3% del totale nel periodo 1992-’94 al 23,8% del biennio 2007-2008.

Il dato sui delitti che si consumano nell’ambito domestico contro le donne emerge prepotentemente dal rapporto Eures-Ansa: esso ci fa riflettere sul grado di violenza quotidiano che si consuma dentro le famiglie e che anche può sfociare nella tragedia di un omicidio.

Se pensiamo che il 70,7% dei femminicidi è stato compiuto nel 2008 all’interno di contesti familiari (104 donne uccise, a fronte di 67 uomini), e che nel 2006 si è arrivati anche al 74%, vengono i brividi.
Aumentano anche le donne vittime della criminalità comune (21 casi, pari al 14,3% delle vittime totali in questo ambito) e degli omicidi tra conoscenti (dal 4,4% del 2006 al 6,8%): non si registra nel 2008 alcuna vittima di sesso femminile negli omicidi commessi dalla criminalità organizzata.

Quali le categorie più a rischio? Secondo il rapporto, sono le anziane le donne più colpite: 36 vittime, pari al 24,5% del totale, con numerosi omicidi di coppia o ‘pietatis causa’, ma il rischio è alto anche tra i 25 e i 34 anni, all’interno di rapporti di coppia per ragioni passionali: 32 vittime, pari al 21,8% sul totale.
La prevenzione di queste tragedie quindi parte proprio dall’individuare la violenza di genere che le donne subiscono in casa e dall’aiuto che si può dare loro ad uscire dall’invisibilità.
Come? Facendo informazione sugli strumenti diretti di intervento, come i centri e gli sportelli anti-violenza, (come quello promosso dalla Fondazione Pangea Onlus) che offrono un fondamentale aiuto alle donne che stanno subendo violenza o che hanno deciso di compiere un percorso di uscita e indirettamente, sottolineando atteggiamenti sociali e culturali che favoriscono questo clima intimidatorio fin dentro le nostre case.
Non a caso, l’anno scorso dalla Rete Internazionale delle Donne per la Solidarietà è stata varata un’iniziativa per ribadire i 30 anni di vita della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW, 1979), il più importante strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di diritti delle donne. CEDAW- “Lavori in corsa” è stata promossa da una piattaforma di organizzazioni italiane di cui fa parte anche Pangea, le quali si occupano di politiche di genere.

Questi nostri dati nazionali legano la persistenza delle violenze di genere al resistere di una mentalità patriarcale e spesso maschilista, poco rispettosa della dignità della donna e dell’uguaglianza di genere.

La libertà di scelta della donna e la sua integrità psico-fisica sono valori assoluti, e come tali vanno riconosciuti senza compromessi in Italia come in tutti i Paesi del mondo.

Fonte per le statistiche:
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2010/07/03/visualizza_new.html_1849387081.html?keepThis=true&TB_iframe=true&height=500&width=750

ONU: è nato ‘UN WOMEN’ a tutela dei diritti delle donne

Gli Stati membri dell’ONU hanno creato una voce più forte per le donne e per le pari opportunità a livello mondiale. ‘Un Women’ è infatti l’ultimo strumento proposto dalle Nazioni Unite che si concentrera’ esclusivamente sulla promozione dei diritti delle donne.

Presentato dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ‘Un Women’ è infatti l’agenzia dell’Onu per la parità di genere e l’empowerment femminile. Essa mette insieme quattro diversi uffici già esistenti e dedicati all’eguaglianza di genere.

La dichiarazione ministeriale rilasciata alla creazione dell’Un Women sottolinea anche l’importanza di adottare nuove strategie per combattere la disuguaglianza di genere. Tra i punti chiave si contano:

  • l’accesso delle donne nell’economia formale;
  • l’eliminazione della violenza contro donne e bambine;
  • il miglioramento per l’educazione e lo sradicamento dell’analfabetismo;
  • l’aumento per l’accesso all’assistenza sanitaria e alla salute riproduttiva;
  • l’attuazione delle leggi contro la discriminazione di genere;
  • l’aumento per l’accesso al microcredito.

Chiaramente questi punti riflettono gli otto obiettivi di sviluppo dell’Onu fissati per il 2015, almeno in base ai parametri del 1990.
I cosiddetti MDG (Millennium Development Goals) puntano infatti ad una riduzione della percentuale di persone che vivono in povertà, all’educazione primaria universale, alla parità di genere. Inoltre essi contemplano la riduzione della mortalità infantile di due terzi e quella materna di tre quarti, l’incremento di misure contro la diffusione del virus Hiv e delle altre malattie, la promozione di un partenariato globale tra Nord e Sud per lo sviluppo e per la sostenibilità ambientale.
Mancano pochi mesi alla 65esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, incaricata di valutare i progressi dei MDG, e si terrà dal 20 al 22 settembre 2010.

Vedremo quindi presto a che punto siamo: tra le tematiche “calde” ci saranno anche le conseguenze negative sulle donne della crisi economico-finanziaria e alimentare, nonché la relazione tra l’empowerment femminile e le possibilità di raggiungere i MDG.

Le Marche contro la violenza sulle donne: lo spot

E’ stata presentata ad Ancona il 3 luglio 2010 la campagna di sensibilizzazione lanciata dalla Regione Marche contro la violenza sulle donne. Sarà possibile vedere in televisione lo spot che lancia un messaggio molto diretto ma anche controverso: “La violenza ti rende invisibile. Donna, apri gli occhi” e si conclude con l’invito a rivolgersi ai Centri antiviolenza, appena rifinanziati dalla Regione con la legge 32/08.

La regione Marche sicuramente vuole comunicare che il silenzio è concausa della violenza contro le donne che rende appunto invisibili e invita le stesse ad rivolgersi ai Centri appositi, invitandole a non subire la invisibilità e ad aprire i propri occhi.

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Leggendo l’intervista sul resto del Carlino, si nota come l’assessore alle Pari opportunità Serenella Moroder ribadisca il concetto espresso nello spot e lo leghi alla precedente iniziativa regionale: “Anzitutto, continuando l’impegno informativo della prima parte della campagna, vogliamo dire con questa nuova immagine che la violenza di genere va combattuta rafforzando l’altro precedente messaggio: ‘Chi umilia una donna non è un uomo’”.

Spiega ancora l’assessore che la donna “non deve piangersi addosso ma deve reagire e, su questo, i dati forniti dall’Istat sono confortanti per le nostre Marche.“

Il messaggio pubblicitario del secondo spot prova a rendere la complessità dietro una violenza, fisica e/o psichica, subita da una donna. Essa spesso implica anche la costruzione di un muro tra se stesse e la società attorno, co-responsabile dell’invisibilità della violenza. Anche la società dovrebbe „aprire gli occhi“ e il cuore a quanto succede alle donne ed interrogarsi quanto le proprie strutture facilitino o meno sia la violenza prima, sia il rinchiudersi dentro un muro di silenzio dopo.

Secondo la Moroder, lo spot è molto incisivo. Un aiuto alle donne deve venire dunque anche dalle altre donne che possono segnalare, nell’emergenza, fatti, eventi e denunciare i responsabili.

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La finanza e le donne

Il 70% dei poveri al mondo sono donne, troppo spesso escluse dall’accesso al credito tradizionale.

Finanza e genere: c’è sempre una certa difficoltà a combinare queste due parole, benché lo strumento per eccellenza che lega le donne al sistema creditizio sia il microcredito. Sicuramente non parliamo di alta finanza ma di microfinanza, né di un ceto sociale ricco. Nei Paesi in via di sviluppo 88.726.893 donne sono clienti di microcredito, ovvero l’83,24% del totale (Microcredit Summit Campaign). In Europa non siamo ancora a questi livelli, ci aggiriamo intorno al 30% (in Spagna si arriva al 60%). Perché? Manca una cultura della finanza tra le donne? O forse questa assenza è il risultato di discriminazioni continue? Guardiamo i dati.

In Europa le donne lavoratrici guadagnano in media tra il 15% ed il 17% meno dei loro colleghi maschi per lo stesso lavoro; in Italia, secondo i dati della Presidenza del Consiglio, il “differenziale retributivo di genere” è mediamente al 23,3%.  Nel nostro Paese lavora solo il 46,3% delle donne: 7 milioni in età lavorativa sono fuori dal mercato del lavoro; al sud il tasso di occupazione crolla al 34,7%. Leggi tutto “La finanza e le donne”