Afghanistan: in pericolo la gestione delle case rifugio per le donne

Potrebbe essere messa presto a repentaglio la sicurezza delle donne afghane che si rivolgono alle case rifugio. Come rende noto il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, un decreto legge promosso dal Consigli dei Ministri dell’Afghanistan nel gennaio 2011 passerà la gestione delle case rifugio per le donne maltrattate dalla gestione delle Ong a quella del Ministero degli Affari Femminili. Le conseguenze saranno molto gravi, sopratutto per le nuove regole imposte sulla gestione dei centri, che prevedono l’accompagnamento delle donne al centro da parte di un parente uomo, visite mediche regolari per accertare l’attività sessuale della donna, la possibilità dello staff del centro di rifiutare alla famiglia della donna il suo ritorno a casa.
I centri sarebbero inoltre tenuti a denunciare le donne scapapte da matrimoni forzati o che hanno subito violenza sessuale accertata. In queste condizioni, costrette al ritorno in famiglia, le donne vivrebbero condizioni di estrema marginalità o peggio rischierebbero la vita per le ritorsioni della comunità.
La legge, che a detta dei suoi promulgatori, sarebbe finalizzata a una migliore gestione delle risorse dei centri, in pratica mira alla loro chiusura e a un maggiore controllo sulle donne: le case rifugio, infatti, sono spesso state tacciate di essere case di prostituzione. La legge, quindi, pare essere stata pensata per compiacere fondamentalisti e Taliban.
Fonte: www.zeroviolenzadonne.it

Afganistan: diminuisce di poco la mortalità infantile e materna legata al parto

La mortalità infantile in Afghanistan purtroppo non diminuisce sensibilmente, nonostante i milioni di dollari spesi negli ultimi 9 anni.

Quasi un decennio  di donazioni da varie fonti (World Bank, USA ed UE) per supportare progetti sulla salute delle donne in maternità hanno portato ad una marginale riduzione della mortalità per madri e bambini secondo le stime di un recentissimo report delle Nazioni Unite sull’argomento.

La diminuzione è da 1.600 su 100.000 nascite nel 2001 a 1.400 in 2010. La mortalità infantile è scesa dal 165 su 1.000 in 2001 a 111 nel 2008, mentre la mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni è diminuita dal 257 al 165 per 1.000 unità, secondo il rapporto Trends in Maternal Mortality 1990-2008, presentato al Summit sui Millennium Development Goals (MDGs) tenutosi in New York dal 20 al 22 settembre.

Quali i progressi? Attraverso una rapida espansione del servizi sanitari su 80% del territorio e uno sviluppo della campagna di immunizzazione negli ultimi anni, stando a quanto dichiara il Ministro della Salute Dalil, sono tangibili miglioramenti.

Mancanza di istruzione, mancanza di strade, penuria di personale sanitario, bassa qualità nell’erogazione dei servizi sanitari e scarsità di cibo: questi i maggiori ostacoli da superare, continua Dalil.

Infatti l’Afghanistan secondo l’UNICEF si posizionava l’anno scorso come il paese peggiore su ben 202 in termini di mortalità infantile e materna: 1 donna su 8 qui affrontava un rischio continuo di morte collegato alla gravidanza e al dare alla luce nel 2009  e oggi sarebbe migliorato di poco  (1 donna afgana su 11).

La cosa che fa riflettere è che nonostante un 54% di aumento della spesa nella salute pubblica negli ultimi 6 anni (da 163.6 milioni di dollari nel 2004 ai 277.7  del 2009), risultano solo 10.92 dollari pro capite, cifra bassa rispetto ai 15-30 raccomandati dal WHO.

Afghanistan: lettere minatorie per le donne che sono “ribelli”

A un anno di distanza dal varo della legge che nega pari diritti alle donne in Afghanistan, Human Rights Watch Asia lancia un rapporto, The “Ten-Dollar Talib” and Women’s Rights, il quale denuncia le trattative tra governo Karzai e gli insorti e  la realtà della condizione femminile che ne deriva nelle aree controllate dai talebani.

Il documento illustra l’infondatezza dell’idea secondo cui sarebbe possibile “comprare” i talebani, poiché non posseggono una vera e propria ideologia fondamentalista, rivelando invece un peggioramento della condizione femminile nelle zone gestite da talebani e Hezb-i-Islami (Gulbuddin) dal 2005.

L’organizzazione statunitense descrive le “lettere notturne”, biglietti minatori asciati sulla porta di casa delle vittime o all’ingresso di una moschea. Fatima K ha ricevuto questa lettera a febbraio 2010: “Noi talebani ti avvisiamo di smettere di lavorare, in caso contrario prenderemo la tua vita. Ti ammazzeremo in maniera così brutale che nessuna donna è mai stata uccisa così. Sarà una buona lezione per le donne che come te lavorano. I soldi che ricevi sono haram(proibiti) e arrivano dagli infedeli. A te la scelta”.

Asma A., insegnante in una scuola femminile di una provincia meridionale, ha ricevuto una lettera con tali parole: “Ti comunichiamo che devi lasciare il tuo lavoro come insegnante il prima possibile, altrimenti decapiteremo i tuoi bambini e daremo fuoco a tua figlia.”.

Esempi raccapriccianti di violenza intimidatoria che purtroppo si trasformano anche in violenze vere e proprie: molte sono anche gli omicidi a seguito delle lettere.